Jo è il secondo volume della serie romance Salvia e Peperoncino scritta da Vita Firenze. Un romance contemporaneo che segue il primogenito della famiglia Esposito.
Continua il mio viaggio nel tunnel del masochismo, dopo aver letto libri con temi che amo poco, torno a parlarvi di una vecchia conoscenza e nonostante non mi fosse piaciuto il primo volume e avessi affermato che non avrei letto il seguito, eccomi qui a dirvi che sono una bugiarda.
Si sono aperte per la seconda volta le porte del rustico ristorante italiano sito nella famosa Mulberry Street di Little Italy, proprietà della famiglia Esposito. Questa nuova storia ci parla di Jo, primogenito di Rosy e Tony, che grazie al suo duro lavoro come cuoco del Salvia e Peperoncino è riuscito a ottenere un stella Michelin.
Ora le cose si fanno serie e vuole portare tutto al livello successivo, il primo passo? Formare una brigata di cinque promettenti elementi, e qui entra in gioco Tim, cuoco al fianco di Joseph, che consiglia all’amico di fare un colloquio alla sua coinquilina Ella.
La signorina Herrera si è trasferita a New York per migliorare le sue doti culinarie e per scoprire la verità sull’incidente che le ha portato via la mamma. L’occasione di diventare sous chef del Salvia e Peperoncino non farà che avvicinarla di più alla verità e aprirà una strada tutta da esplorare.
Avevamo già conosciuto la famiglia Esposito nel prequel Salvia e Peperoncino e nel primo volume di questa trilogia, Alfie, immigrati italiani arrivati nella terra a stelle e strisce per rincorrere il sogno americano. La nuova generazione è troppo italiana per essere credibile, nonostante le abitudini e insegnamenti vari che persistono grazie agli sforzi e alle costrizioni della matriarca Rosy, nessun figlio di immigrati riesce a mantenere così tanti atteggiamenti prettamente italici, ma se su questo possiamo sorvolare, lo stesso non si può fare con altre cose.
Jo è rude, scontroso e solitario, preferisce la compagnia di un bicchiere (meglio una bottiglia) di alcol nel buio del suo appartamento. Sono passati tre anni dalla morte della sua “quasi moglie” e il dolore resta una costante nella sua vita, anzi ci si aggrappa con le unghie nonostante sappia che così facendo non fa che ferire le persone che ama. Piuttosto egoista, se devo dire.
Lui ci va bene così, o almeno lo sarebbe se ci fosse una vera evoluzione da depresso alcolizzato a innamorato folle, ma ciò che ho trovato davvero irritante è il modo superficiale con cui vengono trattati i temi della depressione e dell’alcolismo. Jo beve per dimenticare e non si ferma finché non è ubriaco, trova rifugio in qualcosa che lo rende un mostro insopportabile da avere accanto, però nel libro viene detto “che non è alcolizzato” e infatti smette di punto in bianco grazie a Ella. Ok che l’amore può tutto, ma non ci allarghiamo.
La piccola Herrera è descritta come l’esatto opposto: solare e dalla battuta sempre pronta, due aspetti però che non ho ritrovato. Ella è scontrosa quanto Jo, non fa che lamentarsi fin da pagina zero del tirannico atteggiamento che lo chef ha nei suoi confronti pensando sia semplice dispetto, è indisponente nei confronti del suo datore di lavoro solo perché la mette sotto torchio per vedere cosa è davvero in grado di fare in cucina.
Anche lei come Roxanne ha un rapporto problematico con il padre, che guarda caso risolve magicamente con una bella chiacchierata di pochi minuti. Se con Rox aveva un senso, con Ella è un di più abbastanza inutile. Herrera Senior viene usato come espediente per creare una serie di pessime interazioni, portando futile caos tra i due protagonisti, che finiscono col culminare in risoluzioni inverosimili.
Non parliamo poi di una serie di inesattezze che fanno intuire una poca cura nell’informarsi su determinate dinamiche.
Le interazioni tra Ella e Jo sono costellate di battibecchi, ma i dialoghi sono molto deboli e banali da non riuscire a creare alcun tipo di emozione in chi li legge. La scrittura è semplice e grezza, non riesce a creare scene evocative o scambi indimenticabili tra i protagonisti. Ci sarebbe voluto un editing più incisivo, capace di consigliare le giuste migliorie a una storia che ha come base una buona idea.
Infatti, ho apprezzato l’impegno di inserire una sottotrama crime/mafiosa per aggiungere tensione, ma resta anche quella piuttosto abbozzata e gestita discretamente male.
Non mi sento di consigliarlo, per quanto possa essere migliore rispetto al primo volume della trilogia, rimane molto lontano dall’essere considerato un buon libro.
Chiudo con l’unica citazione che ha un minimo di sostanza, a buon intenditore poche parole…
“La verità è un veleno che brucia, ma non ho altra scelta che berlo fino all’ultima goccia.”
